Opporsi al precariato nella didattica e nella ricerca, oggi nel paese di Berlusconi, vuol dire costruire una lotta diffusa e capillare su tutto il territorio, ateneo per ateneo, facoltà per facoltà, dipartimento per dipartimento. È una “guerra di corridoio” quella che ci attende, una battaglia in lunghezza che centimetro per centimetro accorci la distanza che ci separa dal nostro futuro.
In questi mesi abbiamo accumulato un’esperienza preziosa: partire dall’azione locale nei singoli atenei significa darsi l’opportunità di una mobilitazione solida e duratura che dà forza alle rivendicazioni nazionali e, di ritorno, da queste riceve conferme e legittimità diventando progetto politico.
A Torino il comunicato congiunto firmato dall’Amministrazione del Politecnico, dal Cooordinamento Precari della Ricerca del Politecnico e dalla FLC CGIL Piemonte il 16/10/2009 segna una tappa fondamentale nella storia italiana della lotta al precariato universitario: studenti e precari impongono all’Ateneo di dichiarare lo stato di crisi e di riconoscere, formalizzando un tavolo di trattativa aperto a tutte le componenti universitarie, la centralità della questione occupazionale come questione di democrazia.
A Catania la denuncia “ad alta visibilità” dei precari che fanno parte delle commissioni di laurea e l’annuncio del blocco degli esami rilancia con coraggio e determinazione l’idea, fondativa, che la didattica dentro l’università non è una seconda scelta e che in quanto professione merita lavoratori.
Esiste un vocabolario che nelle università non è mai entrato. Parole come licenziamento, cassa integrazione, ammortizzatori sociali non fanno parte del linguaggio accademico. I lavoratori precari della ricerca e della docenza, imbozzolati in un territorio di privilegio al quale non hanno accesso, non conoscono i propri diritti. Sfruttati, non rappresentati, malpagati, ritengono tutto legale e tutto possibile in nome della passione per la ricerca. Tutto questo fa il gioco di chi ha necessità di mano d’opera a basso costo, docile e mansueta. Tutto questo è utile solo a chi governa le università senza alcun progetto di valorizzazione delle risorse umane e professionali - studenti, ricercatori, docenti – e si fregia di “virtù d’economia” sulla pelle di chi, nelle università, studia e lavora.
Gli atenei, certi della mite accettazione delle condizioni di lavoro pre-moderne offerte ai docenti/ricercatori esterni, sopravvivono e perseverano nel malcostume e nelle prevaricazioni istituzionali. In tempi di precarizzazione della ricerca e di esternalizzazione della docenza, la lotta precaria deve partire dalla ricostruzione di una coscienza collettiva per impedire il sopruso, per dire no ai contratti a titolo gratuito e alla continua dismissione di lavoratori.
Lavoro retribuito equamente, diritti tutelati: comune resistenza, non più capitolazione individuale.
Siamo noi, precarie e studenti, studentesse e precari, a dover riconquistare la democrazia all’interno degli atenei. Siamo noi prima di tutto lavoratori, e poi precari, a dover rivendicare i nostri diritti; in questo protagonisti, uno ad uno, e uniti nella lotta. Noi siamo ora i protagonisti. Ogni ulteriore temporeggiamento lo considereremo connivenza.
“Ripartire dai territori” significa, dunque, rilanciare un movimento (non un momento) di protesta nazionale che vada a colpire tutti coloro che stanno attuando tagli indiscriminati al sistema pubblico di università e ricerca oggi in Italia, e tutti coloro che li stanno avallando. Significa andare a scovare tutte le amministrazioni negli atenei italiani, metterle di fronte alle proprie responsabilità di tecnici liquidatori (nell’operato di questo Governo) della distruzione del sistema universitario pubblico. Significa denunciare il loro patto con il diavolo, il “compromesso sul nostro futuro” e rifiutare il licenziamento – perché di questo si tratta – dei lavoratori precari impegnati nella ricerca e nella docenza. Significa opporsi alla chiusura delle sedi universitarie con il pretesto dell’efficienza della gestione richiedendo l’apertura dei tavoli di crisi con studenti, precari, sindacati ed enti locali. Significa rivendicare una strutturazione dei rapporti di lavoro perché dove c’è lavoro devono esserci posti di lavoro. Significa contrastare le manovre a senso unico delle amministrazioni uniti con tutte le nostre forze per rilanciare l’università e la ricerca pubbliche che ci appartengono.
A un anno dalla nascita dell’Onda abbiamo sperimentato che un’altra università è possibile. È l’università in cui anche i più fragili - come i precari - hanno, per cominciare, diritto di parola. Non è l’attesa che prima o poi qualche DdL segni la via. Non è l’indignazione di fronte all’ultima trovata ministeriale a dettare l’agenda, ma un preciso disegno del nostro futuro: “da grande vorrei fare il lavoratore”.
Resistenza, qui ed ora, vuol dire questo.
Valentina Barrera, Ilaria Agostini, Chiara Rizzica – Ricercatrici e docenti precarie
Torino, Firenze, Catania 19 Novembre 2009
In questi mesi abbiamo accumulato un’esperienza preziosa: partire dall’azione locale nei singoli atenei significa darsi l’opportunità di una mobilitazione solida e duratura che dà forza alle rivendicazioni nazionali e, di ritorno, da queste riceve conferme e legittimità diventando progetto politico.
A Torino il comunicato congiunto firmato dall’Amministrazione del Politecnico, dal Cooordinamento Precari della Ricerca del Politecnico e dalla FLC CGIL Piemonte il 16/10/2009 segna una tappa fondamentale nella storia italiana della lotta al precariato universitario: studenti e precari impongono all’Ateneo di dichiarare lo stato di crisi e di riconoscere, formalizzando un tavolo di trattativa aperto a tutte le componenti universitarie, la centralità della questione occupazionale come questione di democrazia.
A Catania la denuncia “ad alta visibilità” dei precari che fanno parte delle commissioni di laurea e l’annuncio del blocco degli esami rilancia con coraggio e determinazione l’idea, fondativa, che la didattica dentro l’università non è una seconda scelta e che in quanto professione merita lavoratori.
Esiste un vocabolario che nelle università non è mai entrato. Parole come licenziamento, cassa integrazione, ammortizzatori sociali non fanno parte del linguaggio accademico. I lavoratori precari della ricerca e della docenza, imbozzolati in un territorio di privilegio al quale non hanno accesso, non conoscono i propri diritti. Sfruttati, non rappresentati, malpagati, ritengono tutto legale e tutto possibile in nome della passione per la ricerca. Tutto questo fa il gioco di chi ha necessità di mano d’opera a basso costo, docile e mansueta. Tutto questo è utile solo a chi governa le università senza alcun progetto di valorizzazione delle risorse umane e professionali - studenti, ricercatori, docenti – e si fregia di “virtù d’economia” sulla pelle di chi, nelle università, studia e lavora.
Gli atenei, certi della mite accettazione delle condizioni di lavoro pre-moderne offerte ai docenti/ricercatori esterni, sopravvivono e perseverano nel malcostume e nelle prevaricazioni istituzionali. In tempi di precarizzazione della ricerca e di esternalizzazione della docenza, la lotta precaria deve partire dalla ricostruzione di una coscienza collettiva per impedire il sopruso, per dire no ai contratti a titolo gratuito e alla continua dismissione di lavoratori.
Lavoro retribuito equamente, diritti tutelati: comune resistenza, non più capitolazione individuale.
Siamo noi, precarie e studenti, studentesse e precari, a dover riconquistare la democrazia all’interno degli atenei. Siamo noi prima di tutto lavoratori, e poi precari, a dover rivendicare i nostri diritti; in questo protagonisti, uno ad uno, e uniti nella lotta. Noi siamo ora i protagonisti. Ogni ulteriore temporeggiamento lo considereremo connivenza.
“Ripartire dai territori” significa, dunque, rilanciare un movimento (non un momento) di protesta nazionale che vada a colpire tutti coloro che stanno attuando tagli indiscriminati al sistema pubblico di università e ricerca oggi in Italia, e tutti coloro che li stanno avallando. Significa andare a scovare tutte le amministrazioni negli atenei italiani, metterle di fronte alle proprie responsabilità di tecnici liquidatori (nell’operato di questo Governo) della distruzione del sistema universitario pubblico. Significa denunciare il loro patto con il diavolo, il “compromesso sul nostro futuro” e rifiutare il licenziamento – perché di questo si tratta – dei lavoratori precari impegnati nella ricerca e nella docenza. Significa opporsi alla chiusura delle sedi universitarie con il pretesto dell’efficienza della gestione richiedendo l’apertura dei tavoli di crisi con studenti, precari, sindacati ed enti locali. Significa rivendicare una strutturazione dei rapporti di lavoro perché dove c’è lavoro devono esserci posti di lavoro. Significa contrastare le manovre a senso unico delle amministrazioni uniti con tutte le nostre forze per rilanciare l’università e la ricerca pubbliche che ci appartengono.
A un anno dalla nascita dell’Onda abbiamo sperimentato che un’altra università è possibile. È l’università in cui anche i più fragili - come i precari - hanno, per cominciare, diritto di parola. Non è l’attesa che prima o poi qualche DdL segni la via. Non è l’indignazione di fronte all’ultima trovata ministeriale a dettare l’agenda, ma un preciso disegno del nostro futuro: “da grande vorrei fare il lavoratore”.
Resistenza, qui ed ora, vuol dire questo.
Valentina Barrera, Ilaria Agostini, Chiara Rizzica – Ricercatrici e docenti precarie
Torino, Firenze, Catania 19 Novembre 2009
Nessun commento:
Posta un commento